“Spare” ecco il libro del Principe Harry
E alla fine eccolo qui: “Spare” il libro di Harry. Ovvio, non potevo non leggerlo (e non parlarvene); io faccio parte di quella generazione che c’era al matrimonio di Diana, alla nascita dei suoi figli, al suo funerale… William ed Harry sono un po’ di famiglia, ma ho sempre tifato per Harry: forse per solidarietà con chi ha l’innata capacità di infilare una scelta sbagliata dopo l’altra.
E il libro: beh il libro è esattamente quello che ti aspetti, nel bene e nel male.
“Spare”: la versione di Harry
Innanzi tutto Harry si gioca subito l’asso: il racconto, che parte dal funerale del nonno, con un rapido flash-back passa subito alla morte di Diana, e lì già non puoi non simpatizzare per il ragazzino di dodici anni che viene lasciato da solo dopo l’annuncio della morte della madre e poi si ritrova a camminare con i pugni chiusi dietro alla sua bara.
Poi il racconto va avanti, ribattendo e contestualizzando punto per punto tutti gli attacchi dei media nel periodo del college e durante la carriera militare (“eravamo in guerra, pensavano che stessimo distribuendo brochure?”), l’amore per l’Africa, l’incontro con Megan…
C’è tutto, ma quello che il pubblico si aspetta (e che puntualmente riceve) è lo sfogo contro l’atteggiamento distante e spesso ostile della famiglia: Camilla e Kate sono ridotte a comparse meschine nella storia del principe “Riserva”, William (Willy) più che l’Erede appare come un ragazzino geloso che fa i capricci, e Carlo (papà) è solo un’ombra che si nasconde in mezzo alle sue carte, ripetendo come un mantra “never complain, never explain” (non lamentarti e non dare spiegazioni).
Chi si salva ed esce praticamente indenne dal racconto di Harry, anzi è sempre ricordata con affetto, naturalmente è la nonna: God save the Queen, sempre e comunque.
“Spare”: il libro “spazzatura”
“Spare” è letteralmente andato a ruba: demonizzato sui social, dove continuo a trovare commenti tipo: «non leggerò mai una simile porcheria», il libro nelle librerie sparisce alla velocità della luce, quindi i casi sono due: o c’è qualcuno che lo compra (e ragionevolmente lo legge), o la santa inquisizione dei letterati che affollano Facebook va in giro a bruciarne le copie.
Personalmente confesso di averlo comprato, anzi l’ho addirittura prenotato, quindi oltre al dolo c’è premeditazione. Dirò di più, l’ho anche letto con piacere. È scorrevole, ben scritto. Il ghost-writer J.R. Moehringer è uno che decisamente sa il fatto suo. Autore delle autobiografie di Agassi (“Open”) e del fondatore di Nike, Phil Knight (“L’arte della vittoria”), Moehringer sa esattamente come trasformare la verità nella “migliore delle verità possibili”.
Attraverso la voce di Harry, cattura l’attenzione del lettore e dosa tutti gli ingredienti fino a trasformare la storia in racconto.
E quindi, mi chiedo: perché la storia di Harry deve essere spazzatura a priori e una qualsiasi altra biografia no? Perché il giudizio o semplicemente l’opinione (magari distorta) che abbiamo di una persona, deve necessariamente condizionare il valore che diamo alla sua biografia?
Conta forse lo scopo per cui è stata scritta? Se una persona si sente (giustamente o ingiustamente) denigrata, avrà pure il diritto di dire la sua. Poi sta a noi decidere se valga la pena spendere del tempo per starla a sentire o no.
Purtroppo, soprattutto sui social, esiste questa brutta abitudine di denigrare chi legge qualcosa di diverso da quello che è universalmente ritenuto Letteratura con la L maiuscola, così quest’anno ho deciso di dare più spazio proprio ai brutti anatroccoli delle librerie perché anche loro abbiano una possibilità, poi… chi mi ama, mi segua!