“Il vero nome di Rosamund Fischer” di Simona Dolce
“Ti chiami Rosamund Fischer, ma non è il tuo vero nome. Parli inglese, ma non è la tua lingua madre e gli Stati Uniti di certo non sono la tua patria. Hai ottant’anni, sai che è il 2013, sai che non è questo il tuo tempo. Hai un marito e un figlio americani, tu li ami e loro ti amano, ma non sanno chi sei davvero. Hai finto di dimenticare ma non hai mai dimenticato. E spesso hai mentito”
Inizia così “Il vero nome di Rosamund Fischer” di Simona Dolce (Mondadori 2024)
Lo avevo comprato in una bella serata di inizio estate, dopo aver assistito alla presentazione in La Scatola Lilla, ma in quel periodo avevo bisogno di letture più leggere, così è rimasto per po’ sulla mensola dei “sospesi”.
“Il vero nome di Rosamund Fischer” racconta la storia di Inge Brigitte Höss – la figlia del comandante di Auschwitz – che per anni vive a pochi passi dal campo di concentramento, apparentemente ignara di tutto quello che accade al di là del muro di recinzione della loro villa.
L’autrice, per la stesura, si è basata sul materiale raccolto presso il museo di Auschwitz e sulle testimonianze rilasciate dai prigionieri che prestavano servizio presso la villa degli Höss, ma soprattutto sull’intervista che Inge Brigitte ha rilasciato nel 2013 a Thomas Harding, nipote dell’ufficiale che nel 1946 aveva catturato Rudolf Höss, e pubblicata il 7 settembre 2013 sul “Washington Post”.
La trama
Il romanzo parte proprio da lì: una mattina a casa di Rosamund Fischer, un’anziana signora di Arlington, squilla il telefono ed un uomo pronuncia il suo nome, il suo vero nome: Inge Brigitte Höss.
Da quel momento la sua vita, faticosamente ricostruita, crolla come un castello di carte e la donna si ritrova a dover fare i conti con quel passato che per anni ha tenuto nascosto al mondo intero.
Il racconto è appassionato e allo stesso tempo sconvolgente: tutto è filtrato attraverso gli occhi di una bambina che pare non rendersi conto di niente (o almeno così si sforza di fare) anche quando la verità urla al di là del muro.
La stessa volontà di negazione traspare anche dalle parole di Inge adulta, che ancora combatte con i suoi fantasmi nel disperato tentativo – forse ancora un po’ infantile – di proporci un’immagine del tutto diversa del padre: il suo amato Vati.
Se nella prima parte del romanzo, l’autrice ha fonti solide su cui basarsi, nella seconda parte – quella degli anni in Spagna e poi negli Stati Uniti – deve far ricorso alla fantasia e interpretare un po’ gli eventi. La resa risulta debole e un po’ scarna rispetto alla parte iniziale del romanzo, ma sicuramente questo non inficia il grande lavoro svolto.
La Storia
Inge Brigitte Höss ha vissuto ad Auschwitz dai sette agli undici anni. La madre definiva la loro villa a pochi passi dai forni «il paradiso». Alla fine della guerra la famiglia di divide e la madre con i cinque figli si rifugiano a nord in una fattoria di Sankt Michaelisdonn.
Rudolf Höss viene catturato e giustiziato il 16 Aprile 1947 all’ingresso del crematorio di Auschwitz.
Dopo la guerra Inge Brigitte riesce a scappare in Spagna e a cambiare la sua identità.
Agli inizi degli anni ‘50 diventa una delle modelle di punta di Balenciaga ed entra in contatto con l’alta società dell’epoca. Una volta sposata, inizia a viaggiare e vive in Liberia, Grecia e Iran. Nel 1972 si trasferisce negli Stati Uniti ma non può dimenticare gli anni trascorsi in Polonia.
All’età di ottant’anni quando Thomas Harding (nel romanzo James Pinter) la trova, si lascia convincere a rilasciare la lunga intervista con cui cerca di raccontare la sua storia.
Inge Brigitte Höss è morta nel 2023 a 90 anni senza mai rinnegare nulla. Brigitte non contesta l’Olocausto, ma le sue dimensioni: «Se furono uccisi così tanti ebrei, come mai ci sono così tanti sopravvissuti?».
“Il vero nome di Rosamund Fischer” è certamente una lettura interessante e mi sento assolutamente di consigliarlo, anche se forse è un libro da leggere quando si è nello spirito giusto.
Se volete iniziare a sfogliarlo, vi lascio l’anteprima.
Vi lascio inoltre anche il link all’intervista rilasciata nel 2013 a Thomas Harding
“Hiding in N. Virginia, a daughter of Auschwitz”
Circa un anno prima dall’uscita del libro, la storia della famiglia di Rudolf Höss era stata raccontata dal film “La zona di interesse” (The Zone of Interest) di Jonathan Glazer.
Non l’ho ancora visto (è disponibile sia su Prime che su YouTube) ma intanto vi lascio il trailer